Tutto inizia quando un trentatreenne di origini indiane arriva al pronto soccorso dell’ospedale di Terracina con ferite alla testa, fratture e lesioni in varie parti del corpo. Non era caduto, né aveva avuto un incidente. Gli investigatori hanno infatti accertato che l’uomo era stato prima licenziato perché avrebbe chiesto al datore di lavoro i dispositivi di protezione individuali per difendersi dal contagio da Covid-19. E successivamente preso a bastonate e gettato in un canale perché tornato a chiedere i soldi delle giornate di lavoro svolte. La penosa storia si è consumata nelle campagne pontine, a Terracina. Tante restano invisibili. Altre no. Soltanto qualche settimana fa un’altra operazione della polizia di Latina aveva scoperto un sistema collaudato di sfruttamento dei lavoratori nei campi.
Ieri nei guai sono finiti due imprenditori, padre e figlio titolari di un’azienda agricola. I reati contestati sono estorsione, rapina e lesioni personali aggravate, nell’ambito dello sfruttamento di braccianti agricoli all’interno della loro azienda. Per il cinquantaduenne il Gip ha disposto gli arresti domiciliari, per il figlio l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Nel corso di un controllo, gli investigatori del commissariato di Terracina hanno identificato i braccianti agricoli dell’azienda e rilevato un sistematico sfruttamento economico, con condizioni di lavoro difformi alla vigente normativa in materia di sicurezza e sanitaria. «Sono questi i motivi – ha detto la ministra Teresa Bellanova – per cui sono convinta che la battaglia per la regolarizzazione sia stata una battaglia giusta. La sicurezza è un diritto. Avere un lavoro con orari e paga dignitosi è un diritto. Dove lo Stato non è presente, dove si insinua il caporalato, questi semplici diritti sono negati».
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