La crisi climatica ha dei costi insostenibili. La quantità di fondi necessari per rispondere alla siccità o alle inondazioni sempre più estreme e imprevedibili è oggi superiore di 8 volte rispetto a 20 anni fa, tenendo conto dei soli appelli delle Nazioni Unite per la risposta umanitaria nelle diverse aree del mondo. I paesi donatori in media stanziano appena la metà di quanto necessario, mentre aumentano in modo esponenziale fame e profughi climatici. E’ l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Oxfam con un nuovo rapporto, in occasione dell’apertura della Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Unfccc), in programma a Bonn fino al 16 giugno, che precede la Cop27 di novembre in Egitto.
I dati evidenziano come sia cresciuto negli anni il bisogno di risorse che tardano ad arrivare: basti pensare che se nel biennio 2000-2002 servivano in media 1,6 miliardi per far fronte alla crisi climatica nei paesi più colpiti, tra 2019 e il 2021 la cifra è aumentata dell’819%, arrivando a 15,5 miliardi. Allo stesso tempo i paesi più ricchi, responsabili della maggior parte delle emissioni di anidride carbonica, hanno stanziato dal 2017 appena il 54% dei fondi richiesti dalle Nazioni Unite, ossia 33 miliardi di dollari in meno di quanto necessario a salvare migliaia di vite. Numeri paradossali e fuori controllo, ancor di più, se si considera che i fondi stimati negli appelli dell’Onu si concentrano solo sui bisogni umanitari più urgenti e rappresentano appena una piccola parte dei costi reali della crisi climatica. Il costo dell’impatto di eventi meteorologici estremi nel solo 2021 è stato stimato in 329 miliardi di dollari a livello globale, il terzo dato più alto mai registrato e quasi il doppio di quanto stanziato per i paesi in via di sviluppo per lo stesso anno.
E intanto la crisi climatica imperversa. Dal 2000, circa 3,9 miliardi di persone nei paesi a basso e medio reddito sono state colpite da disastri climatici, ma gli appelli delle Nazioni Unite hanno previsto aiuti solo per circa 474 milioni di persone, ossia una persona su 8. «L’attività umana è responsabile già oggi dell’aumento di 1,1°C delle temperature globali rispetto ai livelli preindustriali – ha detto Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International – Un’emergenza che rischia di peggiorare se supereremo la soglia di sicurezza di 1,5°C di aumento delle temperature. I costi per l’intera umanità saranno enormi se non avremo la capacità di intervenire subito per ridurre i livelli di emissioni. Allo stesso tempo non possiamo ignorare le enormi perdite e i danni economici o non economici che significheranno perdita di vite umane, di terra e biodiversità, di case, scuole, posti di lavoro, culture locali e indigene».
Sono 11 i paesi colpiti da almeno dieci eventi estremi negli ultimi anni: Afghanistan, Burkina Faso, Burundi, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Kenya, Niger, Somalia, Sud Sudan e Zimbabwe. Una mappa che descrive un’emergenza umanitaria globale a cui è sempre più difficile rispondere, sia per la costante crescita della frequenza e intensità degli eventi meteorologici estremi dovuti ai cambiamenti climatici, sia per la mancanza dei finanziamenti necessari a mitigarli, sostenendo l’adattamento delle comunità più vulnerabili. Le conseguenze più dirette e immediate sono l’aumento vertiginoso dell’insicurezza alimentare e degli sfollamenti forzati di milioni di persone. «Siamo di fronte a un’emergenza senza precedenti che denunciamo da tempo – spiega Francesco Petrelli, policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia- Molti dei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici – già attraversati da guerre – subiscono le conseguenze dell’attuale aumento dei prezzi dei beni alimentari e della crisi economica dovuta alla pandemia da Covid 19, con un forte aumento di fame, povertà e flussi migratori. Le prime vittime sono le donne che rappresentano l’80% dei migranti climatici del mondo, secondo le stime delle Nazioni Unite».
Quest’anno la devastate siccità in Etiopia, Kenya e Somalia potrebbe causare la morte per fame di una persona ogni 48 secondi, secondo le stime di Oxfam. Globalmente l’1% più ricco è stato responsabile tra il 1990 e il 2015 del doppio di emissioni di CO2 in atmosfera, rispetto alla metà più povera dell’umanità. I paesi ricchi e industrializzati hanno contribuito per circa il 92% alle emissioni storiche in eccesso e impattano per il 37% sui livelli attuali; l’Africa ad oggi è responsabile solo per il 4% del totale; Kenya, Somalia, Sud Sudan ed Etiopia – dove oltre 24,4 milioni di persone stanno affrontando gravi livelli di fame e insicurezza alimentare – sono insieme responsabili solo dello 0,1% delle attuali emissioni globali. «Aspettarsi che i paesi poveri paghino da soli il conto di quest’emergenza è profondamente ingiusto – conclude Bucher – e l’aumento degli aiuti per quanto utile non è sufficiente. Il risarcimento del costo dei danni causati dalla crisi climatica dovrebbe essere proporzionale alle effettive responsabilità dei diversi paesi. I paesi ricchi e le grandi multinazionali devono
pagare per ciò che stanno causando».
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