«Un uragano di emergenze umanitarie imperversa nel mondo» ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres l’estate del 2021. Ciò nonostante, la distanza geografica, gli effetti della pandemia Covid 19 o, più semplicemente, gli algoritmi dei nostri social network hanno distolto l’attenzione sulle numerose crisi umanitarie, lasciando spazio a contenuti mediatici meno drammatici e più accattivanti. Ogni anno, l’Ong Care compila un elenco di emergenze umanitarie in cui sia coinvolto almeno un milione di persone e ne valuta la copertura mediatica, analizzando oltre 1,8 milioni di articoli. Secondo il report, nel 2021 sono dieci le crisi che hanno ricevuto minore attenzione, sette delle quali connesse in maniera diretta al cambiamento climatico.
Scopriamo quindi che nell’anno appena passato, l’emergenza alimentare causata dalla siccità che ha colpito 1,2 milioni di persone Zambia è stata citata a livello mondiale in 512 articoli, mentre i ripetuti eventi meteorologici estremi di cui è stata vittima il Malawi sono comparsi in 832 articoli. Nella maggior parte dei casi elencati, la pandemia da Covid-19 ha giocato un ruolo rilevante, causando il collasso dei servizi di base, la contrazione delle economie locali, la limitazione della circolazione delle persone e, non ultimo, l’inasprimento delle disuguaglianze di genere. In molti casi, le condizioni critiche in cui vertono le famiglie determinano un aumento dell’ abbandono scolastico, di episodi di violenza e sfruttamento, fino ad arrivare alla tratta di esseri umani. A dispetto della distanza geografica e culturale, sul podio delle crisi meno citate non ci sono solo i soliti paesi remoti. Nel 2021, sono 801 gli articoli che hanno diffuso i dati sulla crisi umanitaria in Ucraina, dove il conflitto armato dura da più di otto anni e coinvolge 3,4 milioni di persone, di cui il 68 per cento donne e bambini.
I dati sulla copertura mediatica forniti nel rapporto permettono di fare luce sull’attenzione globale prestata a determinati argomenti, specie se messi a confronto con i temi maggiormente trattati dai media. Complessivamente, le dieci crisi umanitarie citate hanno generato nel 2021 un totale di 19.146 articoli, 12 volte meno dei voli spaziali di Jeff Bezos e Elon Musk (239.422 articoli), 26 volte meno del Campionato Europeo di calcio (515.158 articoli) e 85 volte meno degli 1,6 milioni di articoli dedicati al telelavoro. Secondo i portavoce di Care, il motivo del divario mediatico è da ricondursi al processo di spettacolarizzazione degli eventi. Alla base di una crisi umanitaria c’è il permanere della popolazione colpita in un prolungato stato di emergenza. Una siccità ripetuta, l’ invasioni delle locuste o un conflitto prolungato sono fenomeni lenti, i cui effetti si manifestano in misura progressiva, diventando sempre più evidenti con il passare del tempo ma che non producono eventi sensazionali o immagini forti su cui basare la costruzione di notizie ad elevato impatto.
Lo scopo di questi report annuali è riportare al centro del dibattito le emergenze dimenticate, fornendo uno strumento utile da cui partire per individuare nuove forme di comunicazione, che aiutino organizzazioni umanitarie, media e responsabili politici ad aumentare la consapevolezza e trovare delle forme di sostegno adeguate alle emergenze. «Vogliamo dimostrare che è importante rendere visibili le crisi umanitarie perché, quando la copertura mediatica cattura l’attenzione del pubblico, può accelerare il cambiamento». Più una crisi si rende visibile, più si cattura l’attenzione di governi, più aumentano la possibilità e le risorse per intervenire.
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