Pandemia e infedeltà. Uno studio ne illustra le connessioni

Feb 9, 2021

Tra coloro che sono impegnati in una relazione di coppia, circa il 13 per cento circa ha contattato un ex partner durante la pandemia
di Redazione

pandemia e infedeltàPandemia e infedeltà. Contatti con gli ex partner, difficoltà nel gestire le relazioni familiari confinati dentro le mura domestiche e a tenere in equilibrio la dimensione coniugale con quella genitoriale. I ricercatori del Kinsey institute stanno studiando come la pandemia abbia influenzando le relazioni di coppia e il rischio di infedelta. I risultati mostrano che circa il 20 per cento degli intervistati ha riferito di aver contattato un ex partner durante la pandemia, circa il 50 per cento ne ha contattato più di uno. Un altro 25 ha riferito di essere stato contattato da un ex partner e la maggior parte ha risposto a questo contatto. Tra coloro che sono impegnati in una relazione di coppia, il 13 per cento circa ha contattato un ex partner durante la pandemia. A illustrare i risultati di questo studio statunitense è Giuseppe Ruggiero, psichiatra, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di medicina e psicologia sistemica di Napoli.

Uno studio spagnolo, pubblicato sulla rivista Family process dal titolo Families, and family therapy, ha invece effettuato un’analisi qualitativa degli effetti del lockdown sul benessere relazionale in coppia e in famiglia. «La ricerca – illustra Ruggiero – è stata centrata su due categorie opposte: miglioramento relazionale percepito, deterioramento relazionale percepito. L’indagine ha coinvolto circa 400 partecipanti interpellati attraverso i canali social, qualche settimana dopo il lockdown. E’ emerso che le difficoltà maggiori sono state vissute dalle coppie che dovevano tenere insieme la dimensione coniugale con quella genitoriale». Anche i dati dell’Associazione matrimonialisti e familiaristi italiani indicano un generale peggioramento delle relazioni familiari, con un aumento del 60% di separazioni e divorzi, del 70% di violenza domestica e del 20% dei casi di femminicidio. «Lo slogan andrà tutto bene era molto efficace e consolatorio – constata lo psichiatra – ma noi sappiamo che nulla può tornare come prima, perchè nella logica dei sistemi complessi, quando questi sono lontani dall’equilibrio, la riorganizzazione può portare a nuovi equilibri, inaspettati e imprevedibili. Poichè gli spazi fisici disponibili diventano limitati a causa della quarantena il rapporto atteso tra coesione sociale e autonomia deve essere rivisitato e adattato alla nuova realta. Questo può costituire un importante fattore di rischio per la capacità di reazione con l’emergenza».

Su cosa lavorare per migliorare e potenziare la resilienza familiare? Prima di tutto, la resilienza è una forma di resistenza non rigida, ma flessibile, fa sì che le persone risanino le loro ferite dolorose, assumano il controllo della propria esistenza e riprendano a vivere e amare pienamente. La resilienza non ha a che fare con i geni, nè con la forza di carattere, ma si può coltivare, allenare e sviluppare perchè non sta nella testa delle persone, bensì nei legami. «Bisogna allora ridurre i fattori di rischio, contenere l’innescarsi di escalation relazionali conflittuali e violente, valorizzare le risorse e le competenze personali e familiari, sostenere l’amore proprio e il senso di efficacia della famiglia – suggerisce il direttore dell’Imeps – aiutare la famiglia a cercare le risorse nella creativita’ dei singoli, bambini e adolescenti prima di tutto, nella storia generazionale della famiglia stessa e nella rete sociale allargata. Dobbiamo imparare a vivere insieme ognuno col proprio ritmo, non contemplando rapporti di potere ma tendendo a una rimessa a fuoco delle distanze, dei corpi e delle nostre intimità».

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