L’idea di partenza è semplice: non ci sarà resilienza alla pandemia, né una ripresa verso uno sviluppo equo e sostenibile se non saremo capaci di rendere l’amministrazione pubblica adeguata al compito di gestire l’emergenza. E al tempo stesso di preparare il futuro attuando con intelligenza e flessibilità il piano relativo al Recovery Fund. Non è un’offesa verso la pubblica amministrazione, alla cui promozione e al cui miglioramento dedichiamo molto del nostro lavoro, ammettere che ora come ora non è pronta. Le decine di migliaia di amministrazioni che costellano il Paese non sono nelle condizioni di affrontare l’enorme sfida che abbiamo davanti. Sono sempre più vecchie e incapaci di attrarre giovani talenti; non tutti coloro che ci lavorano sono adeguatamente formati, la maggior parte delle professionalità sono sbilanciate verso profili giuridici; non c’è una propensione all’innovazione, né a utilizzare il confronto e la partecipazione per migliorare le proprie conoscenze.
La nostra Pa è ancora troppo centrata sul rispetto formale dei processi invece che al raggiungimento sostanziale di risultati che cambino in meglio la vita quotidiana di cittadini e imprese, insomma di tutti noi. Se non si interviene subito non abbiamo speranza di superare questo momento drammatico e di trasformare l’Italia, dopo la pandemia, in un Paese più moderno e capace di crescere, vale a dire in un Paese che sappia costruire opportunità contrastando le disuguaglianze. Cosa fare allora? Noi pensiamo che il primo e più importante momento di cambiamento sia l’introduzione di giovani nella Pubblica amministrazione per far calare drasticamente l’età media. E i giovani non ci servono solo perché porteranno nelle amministrazioni saperi e profili nuovi, non solo perché porteranno nuovo entusiasmo, ma anche perché è profondamente giusto che abbiano l’opportunità di gestire una macchina che sta preparando il loro futuro. I giovani migliori non sempre pensano a entrare nel mondo pubblico. Ecco allora la seconda modifica: orientare le amministrazioni in missioni strategiche che diano un senso all’operare di ciascuno rendendolo partecipe di un obiettivo alto e sfidante. E di missioni strategiche, di grandi progetti, l’Italia ne ha bisogno: dal recupero delle aree marginali zzate alla parità di genere, dalla trasformazione digitale all’economia verde, dalla giustizia sociale che riduce le disuguaglianze alla lotta alla povertà educativa. Di certo non mancano obiettivi in grado di far battere i cuori dei nostri giovani.
Abbiamo perso quasi 300mila lavoratori pubblici negli ultimi dieci anni, non rimpiazzando quelli che andavano in pensione, nonostante fossimo il Paese occidentale con la percentuale minore di impiegati pubblici per abitante. Se pure assumeremo 500mila giovani, ne rimarranno comunque più di due milioni e mezzo che dovranno poter godere di una formazione adeguata. Correva l’anno 2001, ed era Ministro della Funzione Pubblica Franco Frattini, quando si stabilì che si doveva spendere in formazione almeno l’1 per cento del monte salariale, che più o meno vuol dire 500 euro per ogni lavoratore ogni anno. Ad oggi se ne spende meno di un decimo. Ecco quindi il terzo punto: investire sulle persone, considerarle davvero l’asset più importante di ogni organizzazione. Dare alle persone la possibilità di crescere individuando i talenti e valorizzandoli, valutando i meriti e premiandoli. Riformando completamente il sistema della valutazione, ora usato spesso tardivamente, male e in una forma sciatta che grida vendetta. Facendo sì che la trasformazione digitale sia la piattaforma abilitante e non la riproposizione digitale dell’esistente.
Ultima modifica infine è data dalla profonda convinzione che non si può fare buona amministrazione da dentro un palazzo: sia esso Palazzo Chigi, un Ministero o un Municipio. La realtà è fuori. Ed è solo considerando la ricchezza, la diversità e la complessità della società, è solo aprendo la mente alle idee e ai contributi delle parti sociali, dei cittadini e delle loro organizzazioni, che le amministrazioni potranno non solo svolgere il loro lavoro, ma anche arricchirsi e puntare in alto.
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