C’è chi è rimasto a lavoro perché impegnato nei servizi essenziali. Chi ha sperimentato lo smart working. Chi invece – e sono la stragrande maggioranza, purtroppo – da un giorno all’altro ha visto azzerato il proprio reddito. L’impatto del lockdown per limitare la diffusione del nuovo coronavirus non ha avuto identiche ricadute sui lavoratori e sulle lavoratrici. Emergono le prime stime e i numeri cominciano ad assumere dimensioni storiche, al punto che resteranno probabilmente impressi nei testi universitari.
Focalizzando l’attenzione sulla cassa integrazione in deroga, uno degli ammortizzatori sociali predisposti dal governo per affrontare l’attuale emergenza sanitaria – ma certamente quello che copre tutte le categorie di lavoratori più fragili – il Lazio ci offre questo panorama: oltre 65mila domande presentate, circa 170 mila lavoratori interessati, trentotto milioni di ore dichiarate. Il 75,8 per cento delle richieste proviene da Roma e dalla sua provincia, gli atri territori laziali insieme raggiungono il 24 per cento, che scomposto in termini assoluti significa oltre 6mila richieste da Latina, 4800 dalla Ciociaria, oltre 3400 dalla Tuscia e 1300 da Rieti. Dai 26 ai 45 la fascia di età più coinvolta da questo ammortizzatore sociale. E sebbene le richieste di cassa integrazione continuano ad affluire, resta il 31 marzo il giorno in cui sono state inviate più domande (quasi seimila).
L’elaborazione dei numeri ci dà il negativo della fotografia laziale: oltre il 93 per cento delle domande sono di aziende che impiegano fino a cinque lavoratori, soltanto il 5,2 per cento quelle che hanno più di cinque dipendenti. E poi ancora: commercio all’ingrosso, al dettaglio e officine di riparazione auto e moto con quasi 18mila domande (il 27,4 per cento del totale) sono i settori che hanno chiesto più aiuto a seguito della chiusura delle attività. Mentre i servizi di alloggio e ristorazione hanno raggiunto il 22,1 per cento, cioè più di 14mila richieste di casa in deroga. Percentuali minori registrano i settori degli studi professionali, sanità/sociale e noleggio e trasporti.
Numeri terrificanti, richieste di aiuto di lavoratori, di padri e madri di famiglia, senza lavoro che però si scontrano con un sistema lento – un po’ goffo – e sicuramente impreparato a gestire un’emergenza di questa portata. Basta un dato per rabbrividire: ad oggi le domande autorizzate nel Lazio raggiungono le 39mila unità e corrispondono a 22milioni di ore di lavoro, che si traducono in 179milioni di euro per le necessità primarie di 43tremila uomini e 52mila donne. Non bastano, invece, le scuse a chi ancora sta aspettando un accredito promesso da quasi due mesi. E’ inutile giustificare il come, il quando, il dove e il perché. Esistono degli accordi sottoscritti, vanno semplicemente rispettati e resi operativi. Ci riferiamo all’intesa raggiunta tra governo, parti sociali e l’Associazione bancaria italiana (Abi). Tale accordo consente, com’è noto, di chiedere l’anticipo della cassa integrazione alle banche. Dobbiamo però constatare che a fronte di molte riunioni con Abi, l’intesa a oggi, non ha prodotto l’effetto desiderato. La lungaggine delle procedure, la documentazione da presentare e a volte l’incapacità di alcune banche di dare delle risposte, sono le cause che stanno determinando i problemi più grandi nell’applicare i contenuti dell’accordo, nonostante l’impegno profuso dai lavoratori del settore.
La festa dei lavoratori quest’anno ha già un tono dimesso perché il lockdown e il distanziamento sociale ci impediscono di riempire le piazze. Anche per questo, chi ha in mano le sorti di uomini e donne – perché in questi momenti disporre un pagamento significa questo – faccia qualcosa, batta un colpo. Non calpesti la dignità umana.
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