
L’Italia è il 76esimo Paese per disparità di genere sui 149 censiti, agli ultimi posti tra gli Stati più avanzati. Rispetto al 2006 ha guadagnato una posizione grazie all’introduzione delle quote di genere nella composizione delle liste elettorali, ma negli altri ambiti ha evidenziato chiari peggioramenti. Inoltre in Italia è occupato il 56,2% delle donne tra i 15 e 64 anni contro il 75,1% degli uomini. Oltre la metà delle aziende con ricavi superiori ai 10 milioni di euro e un CdA di almeno due membri, ha nel board solo uomini.
Sono stati confrontati gli effetti sulle lavoratrici delle società quotate con quelli relativi alle lavoratrici di un campione gemello di società non quotate. Solo il gruppo delle quotate ha aumentato la percentuale di donne nei Cda, per effetto delle nuove norme. Dunque, le quote non hanno favorito la presenza femminile né tra le posizioni apicali delle aziende né tra le occupazioni a più elevato reddito. Nelle società a controllo pubblico la presenza delle donne nei Consigli d’amministrazione e nei collegi sindacali è aumentato di quasi 3.000 unità, ma senza superare la quota di un terzo. «Assolutamente non una è sconfitta, con questa legge 1.286 donne si sono sedute nei CdA, ma se questo Paese vuole cambiare, le donne devono sedersi dove si decidono la politica e l’economia» afferma Lella Golfo, presidente della Fondazione Bellisario. «I numeri ci dicono che le quote stabilite con la legge Golfo-Mosca sono misure necessarie, ma non sufficienti.» sottolinea infine Guido Romano, responsabile ufficio studi di Cerved.
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