«Splendor» ad Arpino. «La Ciociara» tra Fondi e Vallecorsa. «Per grazia ricevuta» tra Fontana Liri, San Giovanni Incarico e Pontecorvo. «Educazione siberiana» tra Il lago del Salto e i boschi di Leonessa. Otello tra Viterbo e Tuscania. «Le avventure di Pinocchio» a Farnese. «Il giudizio universale» a Campoforogna, sul monte Terminillo. «Uccellacci e Uccellini» a Tuscania. Ciak, si gira nel Lazio. E poi ancora: «Polvere di Stelle» a Latina, «Compagni di scuola» a Sabaudia, «Ferie d’agosto» a Ventotene, «Brancaleone alle crociate» a Jenne e nella Tuscia, «Non ci resta che piangere» a Capranica e Sermoneta. Sono solo alcuni dei borghi della regione che hanno prestato vicoli, stradine, piazze per ambientazioni cinematografiche. Sono luoghi conosciuti perché mete di vacanze. Sono posti del cuore, che conservano intatti i ricordi. Vengono scelti per esigenze di sceneggiatura. Capita così di rivederli nelle sequenze dei film. Esterno notte, esterno giorno, ciak si gira, azione. Sul grande schermo e nella sala buia scorre quel panorama familiare, quella stradina sterrata, quella spiaggia, quel palazzo medievale, quella piccola chiesa. Fotogrammi ordinati in un puzzle di una nuova storia che il cinema racconta, fotogrammi che rispolverano emozioni nascoste. Il legame col passato è una delle tante magie che regala la settima arte.
Accade a tutti. Mario Monicelli da ragazzo era stato in vacanza a San Martino al Cimino e da adulto ci tornò per girare «Il medico e lo stregone». Conosceva bene anche Calcata e per questo portò nel paesino della Tuscia il cast di «Amici Miei» per la sequenza della demolizione della chiesa. Le origini ciociare hanno influenzato anche le scelte di Luigi Magni, che ad Anagni ambientò «State buoni se potete» e successivamente alcune scene di «In nome del Papa Re». Più intimo e segreto il legame di Marcello Mastroianni con la sua terra. Originario di Fontana Liri, si possono quindi soltanto immaginare le sensazioni dell’attore tornato ad Arpino con Ettore Scola e Massimo Troisi per interpretare il proprietario di una sala cinematografica di provincia. E che dire di quelle di Vittorio De Sica – sorano di nascita – sul set con Sophia Loren per tradurre in pellicola il celebre romanzo di Alberto Moravia «La Ciociara»? Caratteristiche dei luoghi, aree di confine quasi intatte dove l’uomo non ha ancora devastato la natura, piccoli paesini medievali, il Lazio è una fabbrica dei sogni privilegiata per registi moderni e contemporanei. Se nel 1968 i Monti della Laga di Amatrice erano stati la scenografia per «Serafino» di Pietro Germi, più recentemente nei pressi di Fiumana Gabriele Salvatores e John Malkovich hanno utilizzano il lago del Salto per riprodurre gli esterni del villaggio siberiano del giovane Kolyma e Gagarin. E poi ancora. Greccio, Contigliano, Labbro, Cottanello hanno ospitato Luca Zingaretti e Fabio Rovazzi per i ciak de «Il Vegetale». Gaeta invece ha recentemente ospitato il set di «Bloodmoon», il prequel di Game of Throne.
«Sermoneta set cinematografico» è stato il titolo di una mostra dedicata tempo fa alle oltre novanta produzioni che hanno girato nella cittadina pontina. E poi ci sono le fiction ambientate nel Lazio negli ultimi anni: Il Maresciallo Rocca, I Borgia, Il Nome della Rosa, Catch 22. Un salto indietro nel tempo. Gran parte degli esterni de «Il Vigile» – intrepretato da un giovanissimo Alberto Sordi – hanno avuto come sfondo la città di Viterbo. Mentre nel film «I Vitelloni» dell’indimenticabile Federico Fellini, gli attori in realtà recitarono in una Rimini che era stata ricreata per l’occasione dal maestro tra il capoluogo della Tuscia, Ostia e Roma. Se prima gli studi di Cinecittà potevano consigliare ai cineasti di non allontanarsi dal simbolo dell’industria cinematografica italiana, adesso le Film Commision svolgono un ruolo di promozione e di attrazione per le produzioni cinematografiche e audiovisive. E così nel Lazio il legame tra cinema e territorio si rafforza, così come le ricadute economiche sui territori sia in termini di pubblicità che di indotto.
E intanto la forza delle immagini e delle storie continuano a suscitare emozioni, aspettative, a identificare lo spettatore con le avventure, le trame, con personaggi e luoghi. Si sogna, si piange, si ride, si riflette. Perché poi il cinema – come ricorda un assiduo frequentatore della rassegna romana Massenzio, ideata anni fa da Renato Nicolini – può essere «Magnifica Ossessione», quel bisogno quasi insopprimibile di dovere, ancora prima che volere, raccontare una storia che poi è sempre la propria storia. Il cinema è quella cosa che come accadde nelle rassegne romane: riunisce nella stessa arena ora gli amanti del «Napoleon» di Abel Gance ora quelli di Bombolo, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
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