Settemila bambini nel mondo muoiono nel primo mese di vita

Giu 3, 2019

Dal Rapporto Unicef emerge che le complicazioni legate alla gravidanza sono la prima causa di morte tra le ragazze tra i 15 e i 19 anni di età
di Giancarlo Narosi

Più di 5 milioni di famiglie in Africa, Asia, America Latina e Caraibi impiegano ogni anno oltre il 40 per cento delle loro spese domestiche non alimentari in servizi sanitari per la maternità. Quasi due terzi di queste famiglie, ovvero circa 3 milioni, si trovano in Asia, mentre circa 1,9 milioni sono in Africa. Secondo l’analisi, i costi delle cure prenatali e dei servizi per il parto possono dissuadere le donne in gravidanza dal cercare cure mediche, mettendo in pericolo la vita delle madri e dei loro bambini. Sono alcuni dei risultati del Rapporto Unicef sulla salute materna.

«Per troppe famiglie – dice Henrietta Fore, Direttore generale dell’Unicef – i costi del parto possono essere catastrofici. Se una famiglia non può permettersi questi costi, le conseguenze possono essere fatali. Lo studio rileva che, sebbene in tutto il mondo siano stati compiuti molti progressi nel migliorare l’accesso delle donne ai servizi per la maternità, ogni giorno più di 800 donne muoiono ancora per complicazioni legate alla gravidanza. Ogni giorno ci sono almeno 7 mila bambini nati morti, la metà dei quali erano vivi all’inizio del travaglio, e 7 mila bambini muoiono nel primo mese di vita. La realtà è dura per le donne più povere. In tutta l’Asia meridionale, il triplo delle donne ricche effettua quattro o più visite di assistenza prenatale rispetto alle donne provenienti da famiglie più povere. Quando si tratta di donne che partoriscono in una struttura, il divario tra i più poveri e i più ricchi è più del doppio in Africa occidentale e centrale».

 

Medici, infermieri e ostetriche svolgono un ruolo fondamentale nel salvare le madri, ma milioni di nascite avvengono ogni anno senza assistenti specializzati. Dal 2010 al 2017 – secondo l’Unicef –  la copertura del personale sanitario è aumentata in molti paesi. Ma in quelli più poveri è stato minimo. Ad esempio, dal 2010 al 2017, la copertura è passata da 4 a 5 operatori per 10mila persone in Mozambico e da 3 a 9 in Etiopia. Lo studio dice altro. Le complicazioni legate alla gravidanza sono la prima causa di morte tra le ragazze tra i 15 e i 19 anni di età. Anche i loro figli sono più a rischio di morire prima del compimento del quinto anno di età. Mentre le spose bambine hanno meno probabilità di ricevere cure mediche adeguate durante la gravidanza o di partorire in una struttura sanitaria, rispetto alle donne sposate da adulte. In genere, le spose bambine finiscono per avere molti figli di cui prendersi cura, spesso più delle donne che si sposano da adulte. In Camerun, Ciad e Gambia, oltre il 60 per cento delle ragazze dai 20 ai 24 anni che si sono sposate prima dei 15 anni ha avuto tre o più figli, rispetto a meno del 10 per cento delle donne della stessa età che si sono sposate da adulte.

«Non riusciamo a fornire un’assistenza di qualità alle madri più povere e vulnerabili – ha detto Fore – troppe continuano a soffrire all’infinito, specialmente durante il parto. Possiamo fermare questa sofferenza e salvare milioni di vite con un paio di mani sicure, strutture funzionali e una migliore qualità delle cure prima, durante e dopo la gravidanza». Con la campagna globale Every Child alive (Ogni bambino è vita) l’Unicef chiede e fornisce soluzioni per i neonati di tutto il mondo, invita i governi, chi si occupa di assistenza sanitaria, i donatori, il settore privato, le famiglie e le imprese a salvare ogni madre e ogni bambino: investendo risorse finanziarie nei sistemi sanitari, garantendo strutture sanitarie pulite e funzionali, dotate di acqua, elettricità e sapone, alla portata di ogni madre e bambino; rendendo prioritario fornire a ogni madre e a ogni bambino i farmaci salvavita e le attrezzature necessarie per un sano inizio di vita; fornendo alle adolescenti e alle famiglie la possibilità di chiedere e ricevere un’assistenza di qualità.

 

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