Si parla tanto della famiglia, ma si fa molto poco. Nel nostro paese c’è un rischio di esclusione e povertà sociale che riguarda il 34 per cento degli adolescenti e dei bambini, oltre tre milioni e mezzo di minori. Il dato relativo al tasso di occupazione femminile, soprattutto nelle regioni meridionali ci colloca in coda alle statistiche europee. Molte giovani donne – in questa parte d’Italia – sono costrette a lasciare il lavoro dopo la prima o la seconda gravidanza per accudire i figli, i genitori o suoceri anziani. Ciò accade per la mancanza di servizi di welfare, che di fatto le esclude da ogni possibilità di indipendenza economica, sociale e di riscatto dalla condizione di nascita.
Tutto questo in un Paese dove negli ultimi anni stiamo assistendo a uno dei più vorticosi crolli demografici del mondo, con conseguenze sociali difficilmente prevedibili. Il calo della natalità degli ultimi dieci anni è impressionante. Ecco alcuni numeri: nel 2018 in Italia sono nati solo 458 mila bambini, record negativo che ci riporta al 1861. Nello stesso anno 120 mila bambini in meno sono venuti al mondo rispetto al decennio precedente, pari a un crollo del 21 per cento. Se poi prendiamo come riferimento il 1965, anno clou del baby boom, in cui in Italia nacquero un milione di bambini, il paragone è quasi impossibile.
La fertilità media delle donne nel nostro paese è scesa al 1,25 per cento nel 2018. Il Lazio – insieme con Umbria e Valle d’Aosta – ha subito il calo più sostanzioso, meno 14 per cento. C’è solo una regione, in cui si registra lo stesso livello di fertilità del 2008 ed è il Trentino Alto Adige. Il calo delle nascite è stato ancora più drastico se prendiamo a riferimento le soli madri italiane con sole 358 mila nascite, mentre quelle delle cittadine straniere sono state 91mila, pari al 20,3 per cento del totale a fronte di un peso dell’8,8 per cento sulla popolazione. Il crollo della natalità ha molteplici cause tra le quali i cambiamenti culturali, economici e sociali.
Ma ci sono osservazioni che non possiamo nasconderci. La prima è che la natalità è nettamente più alta nelle regioni con migliori tassi di attività femminile e migliori sistemi di sostegno alla famiglia sia pubblici che privati, anche derivanti da forme di contrattazione collettiva nelle aziende e nei territori. Nel 2018 la provincia autonoma di Bolzano si conferma l’aerea con l’indice di fecondità più alto, l’1,76 per cento di figli per donna, seguita da Trento con 1,50, dalla Lombardia con 1,38 e dall’Emilia Romagna con 1,37 per cento. Al contrario le regioni con la fecondità più bassa si trovano tutte nel mezzogiorno: in testa la Sardegna con l’1,06 per cento. Il Lazio con l’1,2 per cento è nella parte medio bassa della classifica, ma è la regione in cui la flessione di natalità negli ultimi dieci anni è stata più accentuata. E’ evidente che accanto ai cambiamenti economici, culturali e sociali ciò che incide di più nella decisione di mettere al mondo un figlio è la possibilità che un territorio offre di avere un lavoro stabile e dignitoso anche per le giovani donne, l’accesso alla casa e la possibilità di avere dei servizi di welfare per l’infanzia e per la terza età. Quindi è chiaro che occorrono più politiche e risorse maggiori di quelle di oggi, soprattutto rivolte al sostegno dei minori nelle famiglie più fragili.
Per far ripartire economicamente il Paese – attraverso un aumento dei consumi interni – non si può prescindere da un aumento dell’occupazione femminile, potenziando tutte le forme che tendono a conciliare il lavoro con la famiglia. In questo senso molto può fare la contrattazione collettiva attraverso l’introduzione di istituti innovativi in quella nazionale, aziendale e territoriale, prevedendo per esempio: Forme di integrazione tra mobilità urbana e accordi di mobility aziendale. Un maggiore utilizzo delle nuove tecnologie, anche attraverso l’installazione di postazioni satellite nel territorio e non solo nelle aziende, un modo per agevolare l’utilizzo dello smart working. Accordi territoriali e aziendali su congedi e permessi per necessità famigliari. Interventi per un’organizzazione del lavoro più vicina alle esigenze di genitori con figli piccoli. La contrattazione collettiva territoriale e aziendale può diventare fondamentale per uscire dall’inverno demografico in cui siamo piombati. Sostenere poi una migliore occupazione femminile, può diventare a sua voltaun volano per la ripresa dei consumi interni e per uscire da una crisi economica che ci attanaglia ormai da un decennio.
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