C’erano timori di assalti. Di lunghe code agli sportelli. Erano state allertate le forze dell’ordine. Oggi sei marzo in molti credevano che potesse essere il giorno della carica al reddito di cittadinanza. Il giorno dell’apocalisse. Il giorno della calca dei disperati. Vai a sapere – avrà rimuginato qualche benpensante – tuteliamoci, perché questo esercito deve essere contenuto. E invece no. Non ce ne è stato bisogno. Forse perché c’è tempo un mese per richiedere e per sapere se si ha diritto a questa misura. Forse perché c’è la possibilità di presentare domanda on line. Forse perché il reddito di cittadinanza non è una carta annonaria. O forse perché gli uomini e le donne sono migliori di come qualcuno vorrebbe raccontarceli.
Fatto sta che la realtà frantuma le previsioni. C’è una letteratura sui sondaggi puntualmente smentiti. Che si tratti di Brexit, Trump, di elezioni politiche nostrane, un dato emerge sempre più chiaro: la profezia ha preso il posto della previsione. E’ accaduto anche oggi. La lunga fila agli sportelli degli uffici postali non c’è stata. Ci sarà nei prossimi giorni? Chissà, ma non sarà certo un assalto. Oggi comunque molto più movimento nei Caf dei sindacati.
Ma intanto l’Italia va. Intanto il Paese naviga fra tesi precostituite sempre meno aderenti alla quotidianità, tra un mare di numeri non sempre verificati, tra aspettative deluse e correzioni in corsa. Strano modo di approcciarsi alle cose. Da mesi ci si accalora per stabilire se il reddito di cittadinanza sia assistenzialismo o welfare. Si rimugina sul rischio che possa favorire il lavoro nero o disincentivare la ricerca di un’altra occupazione. Lo si fa calpestando la dignità di uomini e donne, pensando che servano le forze dell’ordine per tenerli a bada. E sfugge che proprio il dibattito politico rischia di trasformare una misura da anni realtà in altri paesi europei (che nessun governo passato alle nostre latitudini aveva preso seriamente in considerazione) in un obolo, in poco più di una pacca sulla spalla. Ecco servite le mediazioni al ribasso, gli aggiustamenti, le revisioni in corsa. Ecco spiegato perchè siamo un Paese con poche idee. Perchè se le abbiamo le copiamo. E perchè se le copiamo, le copiamo male.
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