Risposte solidali per i migranti del Cara di Castelnuovo di Porto

Gen 31, 2019

Dopo le offerte di ospitalità delle famiglie del posto, porte aperte ai migranti anche ad Anagni
di Maria Teresa Cinanni

migrantiDopo le offerte di ospitalità presso le famiglie del posto, porte aperte ai migranti del Cara di Castelnuovo di Porto anche ad Anagni, in provincia di Frosinone. L’imprenditore Francesco Borgomeo ha messo a disposizione la foresteria della sua azienda per dare una mano almeno a una famiglia o a due giovani richiedenti asilo, con la speranza di inserire poi i migranti ospiti nell’azienda, dando così loro un lavoro. Una risposta solidale alla rassegnazione e al dolore che hanno caratterizzato le giornate della scorsa settimana, con le partenze “forzate” dal centro in cui oltre 500 persone vivevano e si erano inserite.

Il Cara fa ancora parte del paese, non c’è passante che non sappia indicarlo. Anche chi viene da fuori, nonostante i navigatori portino fuori strada e si rischia di procedere oltre, non può perdersi. Il luogo è noto a tutti. E in più, nei giorni scorsi, bastava seguire a ritroso la fila di ragazzi in fila indiana che con valigia in mano e zaino in spalla cercavano di allontanarsi da quel luogo che per anni ha rappresentato la loro casa. Erano soprattutto di giovani, ancora non compresi nelle liste di coloro che sono saliti sui pullman del ministero dell’Interno alla volta di città sconosciute. Molti senza documenti, fuggiti da situazioni che definire difficili è un eufemismo e a Castelnuovo hanno dato origine a una nuova comunità. Fatta di persone di Paesi diversi, di adulti e di bambini, di volontari e dipendenti che all’interno del Centro lavoravano oramai da anni, facendo di questo luogo la loro seconda casa e stringendo con i nuovi arrivati anche rapporti di amicizia. Come Kadim, senegalese, e Antonio. Come Simona e Sahra. Poi ci sono le amicizie esterne, quelle con i loro coetanei che a Castelnuovo di Porto sono nati e cresciuti. Marco ha diciotto anni, vive in paese con la famiglia da sempre ma è qui ad abbracciare Assan, il suo amico senegalese che forse dovrà andare via.

“Non è sicuro – racconta – sarebbe dovuto partire ma i suoi gli hanno inviato i documenti. Forse, ce la facciamo. Potrà rimanere”. E’ una grande amicizia la loro. Assan definisce Marco un fratello acquisito. E continuano a chiamare al telefono amici comuni chiedendo una mano. Jenet invece è rimasta sola qui. Le sue amiche sono state portate via dal Cara e lei si sente spaesata anche per via della lingua che ancora non riesce a comprendere. Parla un inglese veloce e con accento francofono, cammina su e giù per cercare di combattere il freddo, si ferma dopo pochi passi, osserva i volontari della Croce Rossa, si guarda intorno. Non conosce nessuno dei pochi rimasti. Orpon e Rasib sono pakistani, stanno in disparte, anche loro hanno difficoltà con la lingua. Uno dei due se la cava con l’inglese e traduce all’amico ciò che viene detto. Sono in partenza ma non conoscono la nuova destinazione e non hanno molte aspettative. Chiedono ripetutamente perché. Hanno lo sguardo basso che sollevano solo quando un pullman varca il cancello per allontanarsi da Castelnuovo. Bus Travel Service la scritta che troneggia sul pullman bianco. Una scritta che evoca il viaggio, la vacanza o la pacchia come la definisce qualcuno.

 

Eppure i volti dei passeggeri sono cupi, qualcuno versa qualche lacrima e si volta indietro. Non sanno cosa li aspetta e hanno timore. Nel frattempo, nello spiazzo antistante il Cara, un iracheno si arrabbia per la situazione. Sembra l’unico a reagire. Ci dice in perfetto italiano che “non è giusto. Lì dentro ci sono anche 120 italiani che perderanno il posto di lavoro. 120 famiglie che rimarranno per strada. E non sono stranieri come noi. Sono italiani. Perché tutto questo?”. Non troviamo risposta alla sua domanda. Non una risposta sensata almeno.

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