Sindromi talassemiche, c’è molto da fare

Ott 24, 2018

Sono trecento solo nel Lazio i pazienti. Quasi ottomila in Italia. Ma il sistema soffre di criticità
di Paolo Dominici, Segretario regionale Uil Lazio

Ci sono malattie così subdole che necessitano di cure quotidiane. Sono le malattie rare, una galassia sconosciuta ai più. Ma che incidono sulla qualità della vita di chi ne è affetto. Tra queste ci sono le emoglobinopatie o sindromi talassemiche, malattie genetiche. Nel Lazio oltre trecento pazienti sono affetti da queste problematiche, alcuni di loro devono sottoporsi a trasfusioni continue altri – pur non dipendendo dalle trasfusioni – devono essere seguiti ogni giorno dai centri specialistici, perché rischiano di sviluppare complicazioni. In Italia sono oltre settemila i pazienti e milioni i portatori. E’ facile dedurre che in un quadro simile la prevenzione riveste un ruolo decisivo.

Nel nostro territorio ci sono sei centri specialistici che si occupano delle cure dei pazienti emoglobinopatici. Ma il sistema soffre di criticità, che devono essere affrontate e risolte: spazi ristretti, pochi medici dedicati, carenza di ambulatori specialistici. Una fotografia ce la offre ‘l’Associazione Gocce di Vita’, una Onuls che si occupa appunto dei malati talassemici. San Camillo, Bambino Gesù, Gemelli, due reparti al Policlinico Umberto primo, Sant’Eugenio, Sant’Andrea, sono i centri accreditati. Ci sono poi altri pazienti seguiti nei centri trasfusionali dell’ospedale di Belcolle di Viterbo, del Sandro Pertini di Roma, del Santa Maria Goretti di Latina e dell’Ospedale di Formia.

All’apparenza potrebbero sembrare sufficienti, ma non è così. C’è poi un’altra difficoltà: più passano gli anni, più calano i medici esperti in talassemia. E la nostra regione – che aveva un gruppo di esperti riconosciuto in tutto il Paese – si trova adesso con medici prossimi alla pensione, altri con contratti in scadenza, e una patologia rara che rischia di non essere più seguita da persone competenti. Non a caso per le cure molti pazienti si rivolgono già ad altre strutture fuori dal Lazio. Una prospettiva che deve essere necessariamente scongiurata, perché la vita del malato e della malata di talassemia non può essere ulteriormente complicata da viaggi di centinaia di chilometri. I pazienti non sono un numero. Non sono pacchi. La Regione Lazio deve avviare una seria e decisa riorganizzazione per assicurare al meglio le cure agli emoglobinopatici e tornare ad essere – come lo era tempo fa – un modello di assistenza per tutto il paese.

 

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