Lavoro, libertà, giustizia sociale. Sono queste le parole chiave che abbiamo scelto per il nostro 7 Congresso perché da questi valori bisogna ripartire per dare nuovo impulso al Paese. Come diceva Pertini, senza lavoro, senza giustizia sociale non c’è libertà, né soggettiva, né collettiva. E purtroppo la cronaca di questi ultimi anni ci dice che non c’è nulla di scontato. Giovani senza lavoro, disparità uomo – donna, donne uccise da ex amanti e da una società giudicante, discriminazioni contro gli immigrati, percepiti come intrusi anziché come risorsa, minori stranieri in difficoltà anche nell’assistenza medica. E’ questo lo scenario con cui ci confrontiamo ogni giorno, oltre una città – la Capitale – oramai allo sbando sotto tutti i punti di vista: dal trasporto, al decoro urbano, alla mancanza di infrastrutture e di solidarietà.
L’Europa ci ha bacchettato ancora una volta nei giorni scorsi per le difficoltà vissute dalle donne nel conciliare famiglia e lavoro. L’ultimo rapporto WeWorld Index, infatti, ci dice che il nostro Paese perde nove posizioni nella tutela di donne e bambini e si colloca così all’ultimo posto in Europa e al terzultimo tra i Paesi del G20. Peggio di noi solo Messico e Brasile. E siamo costantemente bacchettati anche per la mancanza di tutela delle donne. Basti pensare che negli ultimi cinque anni in Italia sono state uccise 726 nostre connazionali e ancora c’è chi dice o scrive che la vittima se l’è cercata oppure fa passare per vittima l’assassino, quasi assolto perché provocato o in preda a un raptus o per l’impossibilità di sopportare una separazione a causa del troppo amore. Si chiama senso di possesso, non amore. E in tutto questo, nel contratto M5S- Lega è previsto l’obbligo della bigenitorialita’ condivisa sempre e comunque, senza eccezioni in caso di violenza. E il Campidoglio sfratta la Casa internazionale delle Donne, che eroga servizi psicologici, legali per circa 30 mila donne l’anno. Continuando a parlare di soggetti deboli non si possono tacere le situazioni di molti, troppi anziani o di ancor più giovani che sono costretti a elemosinare un part time, spesso in nero, per riuscire a pagare l’affitto ed a sopravvivere. Lavori che per la loro stessa natura sono spesso alla base dell’incremento di infortuni o morti sul lavoro di cui la nostra regione detiene il triste primato. Nel solo primo trimestre 2018, 21 lavoratori hanno perso la vita, quasi il doppio rispetto al primo trimestre dell’anno precedente. E continuano a salire i numeri dei lavoratori in nero o irregolari che, nel Lazio, secondo le cifre ufficiali superano i 308 mila. In realtà sono molti di più. Si tratta di italiani ma anche di stranieri che non hanno alternative e che si accontentano del sommerso, perché “è meglio di niente”.
A proposito di stranieri, non parliamo di piccole realtà, ma di una popolazione che potrebbe rappresentare un’intera città della nostra Penisola: sono 663 mila i cittadini stranieri residenti nel Lazio, di cui ben 545 mila risiedono nell’area della città metropolitana. Questi sono i numeri censiti, a cui vanno aggiunti quelli impossibili da conteggiare, come gli irregolari, con permesso di soggiorno scaduto, gli invisibili, le vittime di tratte. Immigrati che producono il 9% del nostro Pil, pagando 650 mila nostre pensioni e che spesso, sebbene diplomati o laureati, svolgono lavori a bassa qualifica. Non è giustizia tutto questo. Così come non è giusto che l’1% della popolazione detenga il 25% della ricchezza del Paese e che questo stesso 1% sia 415 volte più ricco del 20% più povero della popolazione. Situazioni che a Roma si acuiscono ulteriormente. Per via dei numeri della Capitale e per via di una mancanza di gestione di una città tristemente nota ormai per la sua inerzia: dai rifiuti, agli investimenti, al degrado che ci sommerge oramai ovunque. E non sono sufficienti i censimenti effettuati dalla giunta per risolvere i problemi. Adesso sappiamo esattamente quanti luoghi pubblici contengono ancora amianto, quanto sono i campi rom, ma non c’è alcuna progettazione, alcun tentativo di risolvere i problemi che, invece, si cerca di evitare non agendo.
E poi c’è una sanità su cui c’è ancora molto da risolvere, a partire dai tempi delle liste d’attesa che nel Lazio sono tra i peggiori d’Italia. Non si può risolvere tutto questo senza sinergia tra le istituzioni locali e nazionali. Siamo ormai al di là dei singoli problemi territoriali e Roma è la Capitale d’Italia e come tale andrebbe considerata. Dalla politica nazionale, ma anche dagli amministratori capitolini.
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