Il lavoro solo a tempo determinato. Migliora il mercato del lavoro in Italia. Migliora, ma a che prezzo. Se è vero che – come ha rilevato l’Istat – il 2017 si è caratterizzato per un aumento dell’occupazione – sia in valori assoluti sia nel tasso – che ha coinvolto anche i giovani dai 18 ai 34 anni, e che al calo dei disoccupati ha visto associare anche la diminuzione del numero degli inattivi, dalla lettura dei dati l’istituto di statistica si scopre che nel nostro Paese a crescere è la temporaneità dell’occupazione. Ed ecco così serviti i frutti avvelenati del Jobs act.
«Dal lato dell’offerta di lavoro – fa sapere l’Istat – nel quarto trimestre del 2017 l’occupazione presenta una lieve crescita congiunturale (+12 mila, 0,1%), dovuta all’ulteriore aumento dei dipendenti a termine (+57 mila, +2,0%) a fronte del calo di quelli a tempo indeterminato (-25 mila, -0,2%) e degli indipendenti (-20 mila, -0,4%). Il tasso di occupazione cresce di 0,1 punti rispetto al trimestre precedente arrivando al 58,1%. I dati mensili più recenti (gennaio 2018) presentano, al netto della stagionalità, un lieve aumento del numero di occupati rispetto a dicembre 2017».
Tendenzialmente c’è una crescita di 279 mila occupati (+1,2% in un anno) circoscritta ai dipendenti (+2,2%), che però in circa nove casi su dieci sono a termine. Calano gli indipendenti (-1,9%). E poi ancora. Le disparità tra aree del Paese sembrano aumentare: la disoccupazione al Sud è pari a tre volte quella del Nord (19,4% nel Sud contro 6,9% nel Nord). E se diminuisce la disoccupazione giovanile per i giovani tra i 15 e i 34 anni – che si attesta al 21,2 per cento e al 34,7 per cento per gli under 25 – cresce invece al 7,6% la disoccupazione tra gli over 50.Stabili restano le retribuzioni, che mostrano una timida crescita su base annua (+0,1 per cento). «Quella del nostro Paese è una fotografia a tinte fosche – commenta il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio Alberto Civica – dimostra che c’è ancora molto da fare su un tema così delicato come il lavoro e l’occupazione, perché aumentare il lavoro a tempo non significa averne aumentato la qualità e la dignità».
E intanto è aumentata la quota di individui a rischio povertà. Secondo l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane condotta dalla Banca d’Italia, a rischiare è una persona su quattro. «L’indice di Gini (una misura della diseguaglianza) – si legge nel rapporto – è salito al 33,5% (33% nel 2014 e 32% nel 2006), un livello simile a quello registrato nella seconda metà degli anni novanta dello scorso secolo».
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