Ho imparato a volermi bene. E per questo non voglio cadere negli schematismi consoni di chi vuole necessariamente schierarsi con chi desidera trascorrere la giornata dell’otto marzo tra le mimose e una serata scimmiottando gli uomini e facendosi servire un risotto da un maschio in tanga, o con chi non vuole assolutamente sentir parlare di mimose perché non è di tendenza. Non voglio entrare in schemi predefiniti ma ho desiderio di dire, comunque, la mia su questa data che la storia ci consegna come un giorno da tenere impresso nella memoria, come se noi donne avessimo bisogno di ricordare la difficoltà di essere donne in una cultura che, nonostante tutti i nostri sforzi, continua a mantenere caratteristiche sempre più machiste e violente verso l’universo femminile.
No, non abbiamo bisogno che una data ci ricordi che dobbiamo scrollarci di dosso il peso angoscioso e buio di quel potere, quel potere che l’uomo sembra ancora pretendere di esercitare su colei che crede essere un oggetto di sua esclusiva proprietà, ed essere noi, si, una volta noi, ad uccidere, definitivamente, quella sindrome dell’ego ipertrofico di cui gran parte dei maschi sembra siano ancora piuttosto caratterizzati. Non voglio essere né di tendenza né fuori, voglio essere io, un nome: Laura, in questo caso. Laura, ovvero quella donna che qualcuno chiama Lauretta, e, se mi guardo bene dentro, scopro che a me le mimose piacciono tanto e avvicinandole al naso vorrei inebriarmi di quel profumo ineguagliabile che si chiama libertà. Sì, perché a me piacerebbe tanto ricevere mimose, ma da uomini nel cui cuore alberghi il rispetto, e la tenerezza che ne consegue. Sì, il rispetto, questo sconosciuto.
Ero una ragazza quando una donna mi regalò un libro che il mio temperamento da adolescente ribelle mi spinse a leggerlo tutto d’un fiato e al quale diedi un significato tutto mio: creare uno spazio dentro di sé, una stanza tutta per sé, dove sviluppare la propria libera autodeterminazione, dove farla crescere e da cui dare origine a quel coraggio di parole e azioni che solo noi donne possiamo capire e comprendere fino in fondo. Quel coraggio che cammina insieme alla consapevolezza di rendersi conto, in ogni istante, che noi donne abbiamo un grande potere: quello di ricentrarci continuamente sul nostro presente, un esercizio certamente difficile, ma nelle difficoltà noi donne siamo maestre. E così pian piano, lungo il mio cammino, ho capito che imparando a volermi bene riuscivo ad aprire la porta di quella stanza, poi a fare un passo all’interno e più la mia consapevolezza prendeva corpo più entravo nella stanza, la osservavo e la facevo mia. A distanza di decenni un’altra donna mi regalò nuovamente lo stesso libro. Presi questo come un segno del destino – non gliel’ho mai detto, forse ora lo farò – In quel momento ho capito che noi donne siamo tutte uguali, molto più simili di quanto pensiamo: ci amiamo e ci odiamo, ci facciamo la guerra e andiamo a spasso tenendoci per mano, ma basta uno sguardo più attento per carpire i nostri reciproci pensieri. Partiamo dallo stesso punto per poi divergere secondo le nostre esperienze e il nostro vissuto, ma questo filo conduttore che ci lega, che ci rende assolutamente connesse, questo filo che ci porta a sorreggerci l’una con l’altra quando siamo in difficoltà, si chiama comune sentire. Noi donne lo abbiamo, perché abbiamo tutte la stessa voglia di amare e di lottare, la stessa voglia di volerci bene.
Ora ho una stanza tutta per me. E ho anche il coraggio di dire no. Perché e dal volersi bene che sgorga quel coraggio, il coraggio di pretendere rispetto, il coraggio di parlare e denunciare. Il coraggio di lasciare, di crescere un figlio con un meraviglioso no. E’ questo che vorrei regalare ad ogni donna che incontro lungo il mio percorso ogni giorno dell’anno: un pezzetto di coraggio per potersi dire: “voglio volermi bene”.
parole davvero toccanti, hai espresso alla perfezione concetto dell’essere Donna