Era il 1992 quando la Casa delle Donne di via della Lungara ottenne il riconoscimento del Campidoglio divenendo un organismo autonomo per la valorizzazione e il sostegno alle donne, offrire servizi e consulenze. Un riconoscimento ufficiale avvenuto dopo cinque anni di battaglie da parte del Movimento Femminista Romano che, in seguito allo sfratto da via del Governo vecchio, occupò il complesso del Buon Pastore a Trastevere dando vita a una trattativa con il Comune per il restauro e la consegna dell’immobile al mondo dell’associazionismo femminile.
Da allora quel luogo è migliorato e cresciuto nel tempo, divenendo un punto di riferimento sicuro per le donne in difficoltà e, successivamente, anche le battaglie per i diritti civili, per momenti di aggregazione culturale, per valorizzare la creatività e la sensibilità delle donne, siano esse giovani artiste o intraprendenti ristoratrici. Un luogo accogliente e ospitale dove ogni persona che varca l’ingresso di via della Lungara riesce a sentirsi a casa. Un luogo da cui sono partite molte battaglie degli ultimi anni contro i femminicidi, la violenza, il razzismo. E oggi lo stesso Campidoglio che in passato ha sostenuto il Progetto, intima la sua fine. La Casa ha un arretrato di oltre 800 mila euro di affitto e la giunta Raggi concede un mese di tempo per il pagamento, altrimenti sarà sfratto. Ma si può sfrattare la cultura? Si può sfrattare l’accoglienza e l’antiviolenza? Oltre le leggi del mercato, esistono altre, forse non così chiaramente scritte, della solidarietà, del sostegno verso i più deboli. In una città sempre più ghettizzante e violenta, chiudere la Casa significa chiudere all’Altro. Lo sfratto, al di là della sua esecuzione, simboleggia qualcosa di ben più forte e grave: una società che ha perso il senso di comunità. Sigillare questo ingresso implica un disconoscimento del lavoro svolto ma anche delle sofferenze di quante qui hanno trovato un conforto, un punto di integrazione.
A Roma lo scorso anno sono avvenute 352 violenze sessuali, con un incremento del 9% rispetto al 2015. E sempre lo scorso anno sono stati chiusi i battenti di tre centri antiviolenza. Oggi è la volta della Casa delle Donne. È questa la risposta delle istituzioni? Divengono inutili necrologi, attestati di solidarietà e sit-in improvvisati se nella vita di tutti i giorni la cultura del rispetto non riesce ad avere posto. Il welfare non può essere assoggettato alle mere leggi economiche, diceva qualcuno. Meno che mai in una Capitale che ha visto crollare negli anni quel senso di unione che l’aveva fatta risorgere in passato. L’augurio è che ogni tanto si possa anteporre la vita, quella vera, alle carte di un notaio.
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