Precario? No grazie. L’unico paese europeo dove precariato e tagli diventano sinonimi di Ricerca. L’unico paese europeo che investe in questo settore strategico soltanto l’1,33 per cento del pil, contro una media europea del 2,03 per cento. Benvenuti in Italia, dove da più di quindici anni ormai la ricerca pubblica sembra trattata più come un fastidio che una risorsa. Ne sanno qualcosa i precari che da anni lavorano senza fondi, senza riconoscimenti e senza certezze per il futuro.
La legge di bilancio, che sta per approdare in Parlamento, contiene dati preoccupanti. «A fronte di migliaia di precari – dicono i sindacati Flc Cgil, Fir Cisl e Uil Rua – sarebbero state stanziate risorse per coprire solo 300 posti negli enti di ricerca». Un andamento che deve essere invertito. «E’ fondamentale che la prossima legge di stabilità riconosca alla ricerca pubblica il giusto ruolo di sviluppo per il Paese – dicono i sindacati – dando risposte positive alle aspettative dei lavoratori precari, ricordando che senza il loro contributo questo sistema non può pensare di competere con i livelli di eccellenza nel panorama internazionale. Quest’emergenza non è più rinviabile».
«La situazione è insostenibile – ricorda Sonia Ostrica, segretaria generale della Uil Rua – Non riusciamo a capire perché il nostro Paese non metta al centro la ricerca, fondamentale per lo sviluppo economico e sociale oltre che culturale, e perché si continui a optare per tagli che indeboliscono non soltanto enti e persone che ruotano intorno a questo mondo, ma l’intero sistema Italia, la capacità di innovazione e di essere competitivi nel mondo». Va creato un sistema virtuoso che tuteli le eccellenze. «Altrimenti – conclude la sindacalista – il numero dei cosiddetti cervelli in fuga è destinato a aumentare e la ricerca a retrocedere. Noi non possiamo più accettarlo». E domani i confederali lo ribadiranno durante la manifestazione-assemblea davanti al Senato della Repubblica (Piazza Vidoni, ore 10).
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