Sono tutte neomamme. Sono quarantatré. Tutte in maternità al tempo dei licenziamenti in Almaviva dello scorso dicembre, quando l’azienda chiuse i battenti lasciando senza lavoro 1666 persone. Adesso le neomamme sono state trasferite da Roma a Rende, in Calabria. Ed è chiaro a tutti che per loro non c’è altra strada che quella delle dimissioni, perché diventa difficile se non praticamente impossibile conciliare le esigenze della famiglia con una nuova sede di lavoro distante settecento chilometri.
C’è una mobilitazione in corso per scongiurare quelli che a tutti gli effetti oggi sembrano ulteriori licenziamenti, seppur mascherati. La Uil di Roma e del Lazio non è rimasta a guardare. «Siamo vicini a queste donne – dicono Pierluigi Talamo e Maurizio Lepri, rispettivamente segretario regionale Uil Roma Lazio e segretario generale della Uilcom Roma Lazio – chiederemo alla Regione Lazio un incontro urgente affinché le neomamme possano accedere al percorso di politiche attive a cui già stanno partecipando i colleghi di Almaviva licenziati lo scorso dicembre. Siamo certi che la Regione Lazio farà il possibile per offrire una nuova opportunità e quindi un nuovo futuro occupazionale anche a queste donne trasferite a centinaia di chilometri casa».
Per il sindacato non c’è altra strada, non esiste alternativa all’inserimento delle mamme nei percorsi delle politiche attive: è un atto dovuto. «E’ l’unica soluzione possibile e sensata –concludono i due esponenti del sindacato Talamo e Lepri – perché è impensabile che una volta finita la maternità una donna si ritrovi con le tutele azzerate e con prospettive di vita futura a centinaia di chilometri da casa e per di più con un part time di solo quattro ore al giorno». Spostarsi di settecento chilometri per settecento euro al mese. E’ sempre più difficile essere donne, mamme, mogli, lavoratrici. E conciliare tutti ruoli. Ma tant’è. Questo offre il ventunesimo secolo.
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