Il 38 per cento delle risaie e delle colture irrigue italiane è affetto da siccità severo estrema, ovvero soffre per un deficit di pioggia che dura da ben due anni. Tutto il distretto del Po, dove si trova buona parte della superficie irrigata italiana, è inoltre già in stato di severità idrica media da diversi mesi, mettendo a rischio riso, mais e altre colture. Lo sottolinea Geenpeace Italia che ha elaborato i dati anticipati dall’Osservatorio Siccità del Cnr-Ibe.
La situazione già a marzo appare drammatica: anche le acque superficiali, risorsa fondamentale per l’irrigazione, sono infatti in estrema sofferenza. Tutti i grandi laghi del Bacino del Po sono vicini ai minimi storici registrati negli ultimi ottant’anni e i principali invasi artificiali del bacino Padano mostrano un volume di riempimento pari a un quinto della capienza. Oltre alle scarse piogge, soprattutto al Nord, hanno contribuito a questa situazione il caldo, con temperature sopra la media 9 mesi su 12 nel 2022, e la scarsità di neve in montagna, dove si registra un deficit del 63% rispetto alla media degli ultimi dieci anni. «Se non vi sarà un’inversione di tendenza saranno fortemente colpite anche tutte le coltivazioni orticole estive, come insalata o pomodori- spiega Ramona Magno, coordinatrice scientifica dell’Osservatorio Siccità del Cnr-Ibe – Probabilmente si dovranno ripensare alcune tipologie di colture o usarne varietà che siano più resistenti a periodi di siccità. Turnazioni irrigue molto più rigorose potrebbero diventare la norma. Si potrebbe arrivare anche a razionamenti di acqua per uso idropotabile in diversi comuni».
Quel che sta cambiando – sottolinea l’organizzazione non governativa ambientalista – è la frequenza e l’intensità di questi fenomeni estremi, un trend ascendente la cui velocità è inasprita e legata a doppio filo con i cambiamenti climatici. Per contrastare la siccità è necessario adottare da subito politiche ambiziose per liberarci dalla dipendenza da petrolio, gas e carbone e ridurre le emissioni dei gas serra. Ma allo stesso modo è necessario modificare profondamente il nostro sistema agricolo – che assorbe circa il 50% dell’acqua dolce utilizzata in Italia ogni anno – modificando anche la superficie dedicata alle colture che richiedono più acqua. Il mais, ad esempio, seconda coltivazione italiana per volumi di acqua utilizzati, è quasi interamente assorbito dalla filiera mangimistica, e più del 45% dell’impronta idrica dei prodotti agricoli è imputabile a carne, latte e derivati. «Per ridurre i consumi idrici in agricoltura – ha commentato Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia – non bastano le soluzioni tecnologiche, ma è necessario agire in un’ottica di maggiore efficienza alimentare, anche attraverso la riduzione di produzioni e relativi consumi che comportano un maggior utilizzo di acqua, come quelle zootecniche e la relativa filiera mangimistica». Le dichiarazioni, istituzionali e non, sul tema della siccità – su come contrastare la siccità – ruotano invece quasi tutte intorno alla stessa ipotetica soluzione: costruire nuovi invasi e bacini artificiali, nonostante le possibili minori precipitazioni future e l’aumento dell’evapotraspirazione a causa del riscaldamento globale, cosa che dovrebbe spingere alla cautela su questo tipo di infrastrutture, anche rispetto ai loro impatti ambientali. Canalizzazioni forzate e cementificazione hanno infatti ridotto le aree naturali in grado di assorbire l’acqua in eccesso durante gli eventi climatici estremi, impoverendo i corsi d’acqua e le falde, che rimangono sempre gli invasi migliori per immagazzinare le risorse idriche, più efficienti di qualsiasi infrastruttura.
Le proposte di Greenpeace per contrastare la siccità: Velocizzare il processo di decarbonizzazione dell’Italia, riducendo e poi azzerando le emissioni climalteranti, attraverso un aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima con obiettivi in linea con l’Accordo di Parigi sul clima e la posizione dell’Unione Europea. Stop agli investimenti sulle fonti fossili e le relative infrastrutture, abbandonando al più presto lo sfruttamento di petrolio, gas e carbone e puntando su energia rinnovabile ed efficienza energetica. Ridurre a monte i consumi idrici in agricoltura, rendendo prioritario l’uso di terreni e acqua per la produzione di alimenti destinati al consumo umano diretto anziché alla filiera mangimistica o alla produzione di biocarburanti. Ridurre a monte la domanda mangimistica, riducendo gradualmente il numero degli animali allevati e adottando misure per incoraggiare l’adozione di diete a base principalmente vegetale. Adottare misure per incoraggiare l’utilizzo di tecniche agroecologiche che migliorino la salute dei suoli, inclusa la capacità di trattenere l’umidità. Ridurre drasticamente il consumo di suolo e la cementificazione, incrementando le superfici di boschi e aree naturali. Pianificare l’eventuale costruzione di nuovi invasi e laghetti in base ai dati di riempimento storici degli invasi esistenti e agli scenari meteoclimatici futuri, evitando opere dannose oltre che inefficaci. Adottare un grande piano di ristrutturazione della rete idrica e di messa in sicurezza idrogeologica, aumentando le risorse dedicate nel Pnrr, anche con il contributo degli enti gestori del servizio idrico integrato.
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