I numeri parlano, analizzarli è utile. Non soltanto per fotografare i problemi ma anche per cercare risposte e soluzioni. I dati che la Uil del Lazio e l’Eures hanno elaborato nel dossier «Economia e pandemia» dicono che l’emergenza Covid ha bruciato nel Lazio 47mila posti di lavoro. Bisogna risalire al secolo scorso per trovare una contrazione simile: era il 1994 quando gli occupati erano stati 49mila in meno rispetto all’anno precedente. «Nel nostro territorio tra il 2019 e il 2020 i lavoratori sono scesi di 1200 unità – dice Luigi Garullo, Segretario della Uil di Latina». Un numero che a prima vista non sembra eclatante, ma che cela una sofferenza più ampia del mondo del lavoro. Non a caso blocco dei licenziamenti e cassa integrazione hanno evitato il peggio. Le province però soffrono, perché economia e pandemia non vanno d’accordo. «Dobbiamo muoverci subito – aggiunge il Segretario – per cogliere al meglio le opportunità di sviluppo date dalla enorme quantità di risorse che arriveranno dall’Europa».
Segretario, qualche numero dalla provincia «Sfogliando il dossier scopriamo che lo scorso anno state 18milioni le ore di cassa integrazione concesse. Partirei da qui per dire che grazie agli ammortizzatori sociali oltre 10mila persone hanno mantenuto un posto di lavoro. Nonostante ciò, la pandemia nel nostro territorio ha divorato 1200 occupati. A pagare il prezzo più elevato è stato il terziario, mentre l’industria e l’agricoltura sono andate meglio. E’ stato anche questo piccolo sistema di vasi comunicanti a limitare più che altrove le ricadute della pandemia su lavoratrici e lavoratori. Ma il problema vero sono le scarse nuove iniziative imprenditoriali di un minimo di rilievo, da troppo tempo quasi inesistenti».
Scavando tra l’economia al tempo della pandemia si scopre altro «I più deboli, le persone con scarse tutele lavorative, gli stagionali, hanno pagato un prezzo elevato all’emergenza Covid. E poi ci sono dati la cui crescita, se non invertita, trasformerà irrimediabilmente il tessuto sociale nei prossimi anni. Penso agli inattivi, ovvero a coloro i quali né lavorano né cercano occupazione, che in tutta la regione sono cresciuti di 60mila unità, superando abbondantemente la quota del milione. A Latina sono 5300 in più rispetto al 2019».
E i giovani? «La disoccupazione tra loro è l’aspetto che ferisce di più: su scala regionale il calo dell’occupazione è stato del 7,1 per cento, praticamente in un anno seimila occupati in meno. Nella nostra provincia l’indice di disoccupazione si è attestato al 33.8 per cento, con 4,4 punti percentuali in più rispetto al 2019. E’ anche da qui che si deve ripartire per invertire la rotta».
Sì, ma come? «Ci vogliono progetti di ampio respiro che coinvolgano e stimolino l’intero sistema Paese. E’ chiaro poi che le ricadute sui territori possono e devono variare considerando le peculiarità degli stessi. Ma ormai è evidente che non si riparte se non si fa rete, se non si mettono a fattore comune conoscenze, sensibilità, idee e soprattutto competenze».
Esempi concreti? «Penso ai Comuni, alle Camere di Commercio, agli enti provinciali, ai consorzi. Penso a più risorse per gli enti locali, che poi andrebbero rilasciate per il bene comune. Penso poi a sistemi di incentivi locali, magari coordinati dalle Camere di Commercio, che possano essere erogati su progetti, ma che potrebbero riguardare anche servizi dedicati e riduzione temporanea di tributi locali per investimenti che creino nuova occupazione, allentando la morsa della burocrazia. Insomma, rendere attrattivo il territorio attraverso un insieme di azioni positive».
E per finire le risorse dell’Europa «Dobbiamo cogliere le opportunità di sviluppo delle risorse che arriveranno dall’Ue. Occorre accelerare l’assegnazione delle aree industriali dismesse da parte dei consorzi industriali, attraverso la semplificazione delle procedure amministrative, creando anche un fondo di rotazione regionale che possa corredare questi siti di una dote finanziaria, fruibile dalle nuove iniziative imprenditoriali. Puntare su recupero e valorizzazione di queste aree – anche in chiave ambientale, bonificandole – creerà nuova occupazione. Esistono esempi positivi soprattutto nel settore farmaceutico, dove la riconversione di siti dismessi in attività produttive classiche ma anche di ricerca, ha creato centinaia di nuovi posti di lavoro. Ed è proprio la ricerca che anche sul territorio andrebbe stimolata, facendo dialogare con progetti fattivi, il sistema produttivo con quello universitario che pure nell’area pontina vede facoltà come Medicina, Economia e Ingegneria. Serve dialogo, scambio di conoscenze. Dobbiamo ripartire e dobbiamo farlo imprimendo una svolta rispetto al passato. Una svolta che abbia però l’attenzione convinta di creare lavoro stabile e dignitoso».
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