La Pubblica amministrazione tra presente e futuro

Nov 17, 2020

Stop ai luoghi comuni. Ripartire significa mettere al centro il capitale umano, valorizzare i dipendenti pubblici e ridare senso e ruolo al loro operato
di Paolo Dominici, Segretario regionale Uil Lazio

La Pubblica amministrazione tra presente e futuroC’è un’immagine che si fa sempre più offuscata. E’ quella di un paese che aveva deciso di uscire migliore. Quell’Italia che stava reagendo alla pandemia con grande spirito di comunità è stata elogiata su tg e giornali di tutto il mondo. Ma oggi quell’immagine è sbiadita, sostituita dallo scontro politico dentro e fuori la compagine di governo. Sostituita dai negazionisti protagonisti delle trasmissioni, dai furbetti con le tavole apparecchiate alle cinque del mattino, dagli scontri, dagli opinion leader contro i fannulloni.

Ma è davvero questa l’Italia che sta emergendo? Davvero la pubblica amministrazione è un covo di imboscati? No, non ci risulta e soprattutto non è utile estremizzare, semplificare e banalizzare. Il rischio – nel continuare a proporre questo stereotipo – è anche di rafforzarlo e farlo diventare un freno al cambiamento. È quello che gli psicologi Claude Steele e Joshua Aronson hanno definito la «Minaccia dello stereotipo» per cui le persone appartenenti a un gruppo sociale oggetto di preconcetto rimangono condizionate nei comportamenti tanto da ridurre effettivamente le proprie prestazioni e generare situazioni di bassa motivazione e abbandono delle attività. La teoria è stata applicata a stereotipi di genere, di razza ma anche ad altri gruppi comunque oggetto di luoghi comuni. Ovviamente non vogliamo semplificare e dire che il lavoro pubblico complessivamente non porta con sé anche problemi. Noi stessi descriviamo il fenomeno della burocrazia difensiva come ancora diffuso ed episodi come quello del Click Day per il bonus mobilità dimostrano che permangono eccellenze, antichi difetti, forti resistenze al cambiamento. Però continuando a svalutare il lavoro pubblico – a evidenziare solo i problemi invece che valorizzare, mettere in rete eccellenze e soluzioni – il fallimento della pubblica amministrazione sarà una profezia che si auto avvera, tanto per continuare l’interpretazione socio psicologia. In questo periodo di tensione sociale sono sempre di più gli episodi di insofferenza, per fortuna limitati alle invettive social, verso chi è garantito da uno stipendio fisso.

Portando agli estremi questi ragionamenti si potrebbe affermare che i «garantiti» siano quelli che in gran parte garantiscono, appunto, i servizi sociali a cui tutti, e soprattutto in questo periodo, stiamo accedendo. In questo periodo, più che mai, abbiamo ascoltato, studiato, confrontato quello che sta accadendo nelle migliaia di pubbliche amministrazioni del Paese e al di fuori di questo. L’Italia che ne emerge è un po’ diversa, anzi molto diversa dalla narrazione dominante. È l’Italia delle istituzioni che lo smart working lo avevano già cominciato a sperimentare prima della pandemia, dei Comuni italiani impegnati a rendere i servizi digitali accessibili. In particolare, per capire come siano metabolizzati i cambiamenti in atto è stata realizzata una ricerca quantitativa, «La Pa nel dopo Covid» con due indagini: una a un campione statistico di cittadini e l’altra a un panel di dipendi pubblici. I risultati dimostrano un’opinione sul lavoro pubblico diversa dalle semplificazioni mediatiche. Il 57 per cento degli intervistati considera un fatto positivo l’accelerazione digitale dentro la Pa avvenuta in questi mesi. Circa il 21 mette in evidenza le proprie difficoltà in termini di mancanza di strumenti adatti (13%) e in termini di competenze (8%). Quindi il pericolo del digital divide c’è ed è anche significativo ma – al tempo stesso – la fiducia nella trasformazione digitale è evidente.

L’opinione degli intervistati sullo smart working pubblico è ancora più interessante. Nonostante l’invito a «tornare a lavorare», la maggioranza degli italiani considera il lavoro agile in ambito pubblico un’occasione per migliorare la Pa. In particolare, il 53 per cento degli intervistati lo vede come un’opportunità per avere un’amministrazione più efficiente e moderna, il 13 lo considera ininfluente, il 29 lo considera un rischio, perché potrebbe facilitare l’assenteismo. Non solo gli italiani hanno un’opinione più articolata – direi più matura e pertinente del lavoro pubblico – ma hanno anche le idee chiare su quale debba essere la strada maestra per dare al settore la centralità che merita. Alla domanda la Pubblica amministrazione avrà un grande ruolo nella gestione delle risorse che arriveranno dall’Europa, secondo te cosa serve in via prioritaria perché possa farlo in maniera efficiente?  le risposte sono nette: il 35 per cento dice nuove assunzioni e introduzione di nuovi profili professionali, il 30 formazione del personale interno, il 25 indica una radicale semplificazione normativa. Per gli italiani – quindi – è da questo che bisogna ripartire: dal mettere al centro il capitale umano, dal valorizzare i dipendenti pubblici ridando senso e ruolo al loro operato. Né fannulloni né eroi, ma civil servant.

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