Il lavoro che cambia. Che si fa agile. Come spesso accade nel nostro Paese – restio alle innovazioni – sono le criticità che muovono le scelte, sono le emergenze che dettano i cambiamenti. «Prima dell’emergenza Covid – dice Roberto Di Francesco, segretario regionale Uil Lazio – lo Smart working in Italia era una modalità ristretta a poche aziende. In pochi mesi sì è diffuso esponenzialmente fino a essere largamente apprezzato tra lavoratrici e lavoratori». Notevoli i vantaggi per aziende e dipendenti. «Ma – aggiunge il segretario – le regole dovranno cambiare, perché in questa fase emergenziale il datore applica unilateralmente lo smart working. In futuro sarà necessaria una contrattazione collettiva nazionale e territoriale». Ci sono poi da affrontare questioni relative ai benefit, ai nuovi costi a carico del lavoratore, alla geografia urbana che sta cambiando, a interi segmenti economici in difficoltà. Ma la strada sembra tracciata: «Non percepire la realtà, la spinta innovativa, significherebbe non governare un processo ormai irreversibile».
Come governarlo? «Con approccio riformista, con la consapevolezza che i mesi del lockdown hanno già rivoluzionato il mondo del lavoro. E che indietro è impossibile tornare. Prima della pandemia in Italia c’erano poco più di 500mila lavoratori agili, da marzo a maggio il numero è oscillato tra i sei e gli otto milioni. Il sistema ha retto, anche se non era scontato, visto che siamo agli ultimi posti in Europa per divario digitale. Ma chi lo ha sperimentato – anche se per necessità – ne ha apprezzato i benefici: meno tempo perso nel traffico, riduzione di spese del trasporto, maggiore autonomia, possibilità di conciliare affetti e impegni lavorativi. Anche le aziende intravedono vantaggi: riduzione dei canoni di affitto, dimezzamento delle spese di manutenzione, abbattimento dell’assenteismo”.
Chi ci guadagna di più? «L’ambiente, in termini di riduzione di inquinamento e di emissioni di gas serra. Scendendo nello specifico, una volta regolamentato il lavoro agile, ognuno avrà il suo vantaggio. Faccio un esempio: si calcola che un’azienda risparmi dai sette ai diecimila euro l’anno per ogni dipendente collocato in lavoro agile. Quest’ultimo riduce i costi relativi agli spostamenti, ma ne avrà altri prima sconosciuti. Il nostro impegno dovrà concretizzarsi nel costringere le aziende a reinvestire una parte dei risparmi per coprire questi nuovi oneri. Si dovrà poi modificare la legge 81 che regolamenta lo Smart working, perché una volta usciti dall’emergenza sanitaria tornerà in vigore il provvedimento del 2017 nel quale sono previsti accordi individuali tra datore di lavoro e dipendente. Parliamo di una modalità già superata dagli eventi, che andrà quindi sostituita con una contrattazione collettiva nazionale e territoriale».
Eppure gli aspetti negativi non mancano. «Come in tutte le cose, ovviamente. Cambierà ad esempio la geografia urbana. Bisognerà lavorare per guidare la transizione e attenuare quanto più possibile gli effetti negativi sulle città e sui segmenti economici, pensiamo ai lavoratori delle mense, delle pulizie, dei bar e dei ristoranti. Da una nostra recente ricerca è emerso che otto lavoratori laziali su dieci hanno apprezzato l’esperienza del lavoro agile, anche se hanno evidenziato come aspetto sfavorevole la perdita della socialità, la sovrapposizione dei tempi di lavoro e di vita personale. Ma non va dimenticato però che nei mesi bui della pandemia, tutti hanno dato qualcosa in più, ciascuno secondo le sue competenze. Immaginare la fase tre, significa andare oltre e pensare a come sarà la nostra regione, la nostra città, il nostro Paese dopo questa emergenza sanitaria. E in questo lento ritorno alla normalità il sindacato immagina una forma di lavoro misto, che alterna presenza in sede e lavoro da remoto».
La trasformazione del lavoro è irreversibile. Il sindacato è pronto alle nuove sfide? «Sì, siamo preparati, tuteleremo lavoratrici e lavoratori dal rischio che subiscano scelte calate dall’alto, dall’imprenditore e dall’impresa. Lo smart working è un tema che riguarda l’organizzazione del lavoro, di alcuni segmenti specie del terziario e della pubblica amministrazione. Altre professioni richiedono presenza, azione, manualità. Al di là delle differenze e delle singole competenze quotidiane, il sindacato da mesi è impegnato per creare un nuovo modello di sviluppo che metta al centro le donne e gli uomini, i loro bisogni e le loro aspettative, la loro qualità della vita e del lavoro e i salari dignitosi. Visto da questa prospettiva lo smart working è un’innovazione. Non percepire la realtà significherebbe non governare un processo ormai irreversibile. Tutto questo non significa – come sostiene qualcuno – privilegiare fasce di lavoratori».
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