«Ripartire tutelando l’ambiente e la salute»

Mag 29, 2020

«Il lockdown lascia la generalizzata consapevolezza che il mondo è in crisi e che questa crisi affonda le radici nel modello di sviluppo utilizzato per assicurare benessere a pochi e povertà a molti»
di Alfonso Vannaroni

Benessere a pochi e povertà a molti. O se preferite ricchezza per la minoranza, briciole per la maggioranza. Emergenza ambientale e pandemia. Quale modello di sviluppo per il futuro? I temi trattati con Giuliano Sciotti,  Segretario regionale Uil Lazio, approfondiscono il ruolo dell’uomo, le sue scelte, le aspirazioni tradite e gli errori. «Il sindacato deve gettare le basi per un mondo più equo e solidale», sostiene il segretario. Anche attraverso la tutela e rispetto dell’ambiente. «Nel Lazio – e in particolare nella Capitale – le istituzioni non sono state in grado di avviare un moderno ciclo dei rifiuti. Rischiamo l’emergenza non solo di Roma ma anche a Rieti e Viterbo. L’economia circolare è un miraggio. Anche in questo settore si deve lavorare strategicamente, perché l’emergenza rifiuti mette a rischio la salute dei cittadini. E anche qui si chiude il cerchio: ambiente e salute devono camminare con lo stesso passo».

Emergenza ambientale e pandemia. C’è un legame? «E’ presto per dirlo, ci sono studi scientifici che faranno luce su questo connubio. Fatto sta che l’uomo in entrambe le situazioni ha mostrato la sua fragilità. Il lockdown lascia la generalizzata consapevolezza che il mondo è in crisi e che questa crisi affonda le radici nel modello di sviluppo utilizzato per assicurare benessere a pochi e povertà a molti. Nell’emergenza delle temperature sempre più alte, della Terra e dei mari sempre più inquinati, nessuno ha fatto i conti con i milioni di morti che in ogni angolo del globo questo modello ha provocato. Soltanto il risveglio dei giovani, sfociato in manifestazioni transnazionali per l’ambiente e il richiamo ai potenti del mondo a cambiare rotta, sta mettendo in discussione il sistema consolidato»

Poi è arrivato il Covid-19 «Come una Cassandra l’anno bisesto ha portato un dramma: la pandemia. Subito abbiamo capito quanto fossimo impreparati a eventi sanitari di questa portata, pagando un costo indicibile in termini di vite umane spezzate. Gli studi ci dicono che il virus ha fatto il salto di specie, dall’animale all’uomo. E qui mi permetto una riflessione: se la deforestazione avvicina sempre più uomo e animale, diventa chiaro che proprio la riduzione della distanza indebolisce il rapporto con l’ambiente e rischia di spezzarlo. L’ambiente e la sua salute hanno una diretta corresponsione con il nostro atteggiamento, se non cambiamo saremo complici della nostra disfatta».

C’è un colpevole, quindi. E non è il Paese dove tutto è iniziato. «I danni li ha creati il sistema capitalistico con il conseguente sfruttamento illimitato delle risorse. Abbiamo indebolito la natura senza renderci conto che adesso lo siamo di più anche. Il presunto benessere non ci ha messo al riparo da questo come da altri virus, né dalle catastrofi ambientali, anzi rischia di ridurci schiavi. Adesso stiamo vivendo una fase di stordimento, ma sembriamo pronti a riprendere lo stesso modello di società e di sviluppo, come se fosse l’unico. Ripartire proponendo la stessa strategia non cambierà il risultato finale. E’ una regola che vale sempre. E’ quindi necessario abbandonare la strada che ha sconvolto l’intero ecosistema. Non è dimostrato che l’inquinamento atmosferico abbia una diretta correlazione con il Covid, ma di certo l’impatto è stato più violento laddove le polveri sottili erano presenti in misura maggiore che altrove».

Come deve agire il sindacato? «Sono convinto che il sindacato debba lottare per il diritto alla salute, per cambiare la società, attraverso la sicurezza e il lavoro, e gettare le basi per un mondo più equo e solidale. E’ questa la sfida che dobbiamo raccogliere, dobbiamo insieme trovare un’altra strada. Altrimenti ci resterà la teoria dell’immunità di gregge, vale a dire che chi resisterà al virus o a una catastrofe ambientale, continuerà ad assicurare il benessere a pochi a discapito dei tanti. Affidare ancora il destino alle banche è un errore. Restare schiavi del Pil, dello spread e dei valori che stabiliscono le agenzie di rating, sarebbe imperdonabile».

Dal contesto globale al territorio, come immagina il Lazio dopo l’emergenza sanitaria? «Dobbiamo parlare di diritti. La sanità pubblica, ad esempio, è stata impoverita. Mai come in questo periodo è stato però chiaro che la salute è un diritto universale. E’ altrettanto chiaro che servono investimenti pubblici per risollevare l’economia dei territori della nostra regione. Noi proponiamo uno schema semplice, fino a oggi ignorato: la concessione dei finanziamenti va ancorata a tre condizioni irrinunciabili: mantenimento dei livelli occupazionali, divieto di delocalizzare la produzione e riconversione ecologica. Infine i rifiuti: nel Lazio, e in particolare nella Capitale, le istituzioni non sono state in grado di avviare un moderno ciclo dei rifiuti, ancora oggi la situazione della gestione è in fase di emergenza, come abbiamo dichiarato alla Commissione regionale ambiente. Il Piano può essere anche accettato con le sue lacune, ma il dato è che in questo anno rischiamo di avere i rifiuti nelle strade non solo di Roma ma anche a Rieti e Viterbo. L’economia circolare è un miraggio. Ciò significa che in questo settore si deve lavorare strategicamente, perché l’emergenza rifiuti mette a rischio la salute dei cittadini. E anche qui si chiude il cerchio: ambiente e salute devono camminare con lo stesso passo».

 

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