Stupri, stalking e schiaffi. Ventitré anni, di Frosinone: uccisa a bastonate per strada. Ventisei anni, turista polacca in visita in Italia: stuprata sulla spiaggia di Rimini da quattro esseri che chiamano uomini. Solo soltanto le ultime due vittime di una lunga serie di violenze perpetrate sulle donne. Le ultime di cui si parla, dimenticando al solito le precedenti e concentrandosi spesso più sulle reazioni maschiliste e idiote di qualche improvvisato commentatore dell’ultima ora che sugli episodi in se’.
Due donne, due storie diverse e distanti: prostituta per “necessità” la prima, turista del cosiddetto Bel Paese la seconda. Due contesti geografici e sociali distanti: bassa periferia laziale la prima, civilissima Romagna la seconda. Una vita ai margini con due bimbi piccoli da sfamare quella di Gloria di Frosinone. Una vita da studentessa universitaria in vacanza quella della giovane polacca che chiede l’anonimato perché in Polonia “non si venga a sapere”. Perché lei, la vittima, si vergogna di quanto accaduto. Lei che adesso vuole soltanto tornare a casa sperando di allontanare così l’orrore e l’incubo di quella notte che, invece, si porterà dentro per sempre. Come tutte le altre, tante, troppe, donne maltrattate, violentate nel corpo e nell’animo da chi usa un essere umano come un oggetto.
E gli orrori si susseguono in una lunga catena che ha coinvolto sette milioni di donne di diversi paesi, fascia sociale, età. Donne combattenti che raccontano il proprio dramma perché non si possa ripetere. Donne più remissive che spesso vivono l’incubo all’interno del proprio nucleo famigliare, impaurite, arrabbiate, alla ricerca di una via di fuga che a volte non riescono a intraprendere. Donne, tutte, lacerate da una ferita che il tempo non riuscirà a rimarginare. All’esterno lo sdegno, la denuncia di quanti si affrettano a commentare gli episodi, senza però che qualcosa cambi.
Al di là delle parole di circostanza, la concretezza porta alla depenalizzazione del reato di stalking, al taglio dei finanziamenti ai centri antiviolenza, a continui rinvii giudiziari e soprattutto a una cultura latente ma sempre più diffusa che in fondo la vittima se l’è andata a cercare. Perché, si sa, non si va in giro da sole la sera, non si frequentano luoghi poco illuminati, non si indossano abiti succinti o, in caso di violenza, bisogna urlare forte, altrimenti non è violenza e scatta l’assoluzione del colpevole (sentenza tribunale penale di Torino marzo 2017: sollevato dall’accusa perché il fatto non sussiste, proprio perché la vittima gli ha soltanto intimato di smetterla senza gridare, chiedere aiuto o reagire violentemente).
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